Pagine

lunedì 7 ottobre 2019

I “giganti dell’acqua”

Le multinazionali dell’acqua
L’esempio della Sicilia non è un caso isolato e irripetibile. Se negli ultimi anni a livello nazionale e mondiale sono sorti o si sono rafforzati gruppi criminali di tipo mafioso, cioè che hanno la complessità della mafia siciliana, sul problema dell’acqua, come accennavamo all’inizio, si sono imposte politiche di privatizzazione dovute all’emergere di grandi gruppi imprenditoriali.
I “giganti dell’acqua” sono soprattutto due imprese francesi: la Vivendi, ex Générale des Eaux, e la Ondeo, ex Lyonnaise des Eaux. Vivendi è il più importante operatore nel settore dell’acqua ma opera anche in altri settori: ambiente, energia, nettezza urbana, trasporti, telecomunicazioni (ha acquistato recentemente l’americana Universal Picture e Canal +). Ha un fatturato annuo di più di 150 miliardi di franchi francesi e impiega più di 140.000 persone.
La Ondeo mira a scalzare la consorella francese e ha un ruolo internazionale di tutto rispetto: è già presente in circa 20 paesi e nel 1997 gestiva il servizi idrico in 14 grandi città, tra cui Manila, Budapest, Cordoba, Casablanca, Giacarta, La Paz, Postdam, Indianapolis.
In Gran Bretagna la privatizzazione dell’acqua è stata introdotta nel 1989 e le grandi imprese britanniche, in particolare la Seven-Trent e la Thames Water, operano anch’esse a livello internazionale. Il colosso elettrico tedesco, la RWE, opera come impresa multisettoriale e ha interessi anche nel settore dell’acqua. In Italia, in seguito alla legge Galli, aziende come la romana Acea, la milanese Aem e la torinese Amt si sono estese sul territorio nazionale e in altri paesi.
In Francia, dove la privatizzazione si configura come delega della gestione di un servizio pubblico a un’impresa privata, si è avuto un aumento medio del prezzo dell’acqua del 50%, a Parigi del 154%; gli utili delle imprese sono lievitati al 60-70% degli utili totali. Si aggiunga la scarsa trasparenza delle concessioni con il relativo incremento delle occasioni di corruzione.
Nel Regno Unito la privatizzazione prevede l’esproprio di un bene comune e le imprese hanno fatto registrare utili esorbitanti, per cui si è escogitata una tassa straordinaria.(6) In altri paesi i costi dell’acqua sono diminuiti per i ricchi e aumentati per i poveri: è il caso di Manila, capitale delle Filippine.(7)

Questa invasione delle grandi imprese renderà sempre più difficile una politica pubblica delle risorse idriche e imporrà sempre di più un modello fondato sulla “petrolizzazione dell’acqua”, cioè sulla dittatura del mercato anche sull’acqua. In questi ultimi anni si è parlato tanto di “fine delle ideologie” ma in realtà abbiamo assistito al trionfo del liberismo che è anch’esso un’ideologia. Sostenere che il mercato è il migliore, se non l’unico, meccanismo di regolazione, è una tesi ideologica che semplifica la complessità del reale riducendo tutto alla dimensione economica. L’acqua non è un bene di cui si possa fare a meno, che si può scegliere di consumare o meno, ma un bene comune indispensabile per vivere. Tutto questo viene ignorato e come si è fatto per il petrolio, che è servito per arricchire le grandi multinazionali e gli sceicchi, lasciando in miseria gran parte della popolazione dei paesi produttori, così ora si vuole fare pure per l’acqua.
Il Manifesto dell’acqua
Nel 1998 a Lisbona Organizzazioni non governative e altri soggetti hanno lanciato il “Manifesto dell’acqua”.
Gli attori sociali che debbono impegnarsi su questi obiettivi debbono essere i parlamenti, le associazioni della società civile, gli scienziati, gli intellettuali e i media, i sindacati. Si propone la costituzione di un collettivo mondiale “Acqua per l’Umanità” e già nel 1998 si è costituito un comitato promotore.(8)
L’Italia non è stata fra i paesi più attivi per una politica mondiale dell’acqua, comunque anche nel nostro paese si è costituito un Comitato per il contratto mondiale dell’acqua e si è lanciato un Manifesto italiano.
Anche in Sicilia si cerca di riprendere una battaglia che fu del movimento contadino sulla base di alcuni principi che si richiamano al Manifesto dell’acqua: opporsi alla privatizzazione e dichiarare tutto il patrimonio acquedottistico demanio pubblico inalienabile, creare un’unica grande struttura pubblica regionale e promuovere politiche di autogoverno del territori.(9) Tutto ciò richiede la massima vigilanza nei confronti di qualsiasi ingerenza dei gruppi mafiosi interessati a perpetuare il loro controllo e forti del fatto che il modello di uso privatistico di una risorsa pubblica in questi anni invece di regredire ha fatto passi da gigante.

Nessun commento: